Giorno 39 – Jokolo

Con una deviazione ‘turistica’ dal nostro itinerario eccoci qui nella valle del Pankisi, sereno paradiso alle pendici del Grande Caucaso. Abbiamo voluto venire fin qui, in un viaggio di un intero giorno con tre diversi pulmini, per incontrare le speciali tradizioni degli abitanti, una comunità di kist, ceceni musulmani e in particolare delle donne, che tutt’oggi praticano una particolare cerimonia sufi cantando e danzando in cerchio.

Le donne in preghiera. Per rispetto e discrezione, niente foto della cerimonia, non è uno spettacolo!

Siamo nella accogliente guest house di Nazi, in una casa tradizionale ristrutturata e gestita con ogni cura, compresa la squisita cucina con prodotti e ricette locali. Nazi è impegnata a salvaguardare e promuovere la cultura della comunità kist, grazie a lei abbiamo potuto intercettare una di queste cerimonie e assistervi, nella vecchia moschea dove ogni venerdì un piccolo gruppo di donne anziane di riunisce per celebrarla: un grande privilegio, un momento intenso di incontro. Le donne ci hanno accolto con semplicità, mi sono sentita in qualche modo parte del cerchio: c’è in fondo qualcosa di universale in questo raccogliersi, pur nei modi specifici di ogni cultura, di ogni espressione religiosa.

Più tardi abbiamo visitato un piccolo museo etnografico – per guida il nipote dell’uomo che ha creato questa raccolta di oggetti di vita quotidiana – e siamo riuscite a scovare un piccolo laboratorio dove le donne lavorano il feltro: uno dei loro bellissimi cappelli dovrà trovare posto nel mio zaino! Mi piace quando il mio cammino incontra e in qualche modo contribuisce a valorizzare le comunità locali. Il paesaggio è superbo, colline verdissime e sullo sfondo le cime innevate del Caucaso; i villaggi sembrano fiorenti, nella semplicità della vita rurale, e vitali. E risuona di nuovo nell’aria cinque volte al giorno il richiamo alla preghiera che non sentivamo da quando abbiamo lasciato la Turchia (ma qui è un po’ diverso). Domani si riprende il cammino da qui, dopo questa pausa corroborante: non manca che una manciata di chilometri al confine con l’Azerbaijan.

Giorno 42 – Kalauri

Siamo nel Kakheti, nel cuore della regione vinicola georgiana: frequenti cartelli dicono che siamo sulla Wine Road. Lasciata a malincuore la valle del Pankisi tre giorni fa scendendo per un bel percorso lungo il fiume tra pascoli e campi, eccoci ora in un territorio dall’aspetto prospero.

Incontriamo grandi case coloniche tradizionali, parecchie ristrutturate, vigneti, frutteti, campi coltivati, le montagne del Grande Caucaso sempre sullo sfondo. La regione attira e accoglie turisti, i produttori di vino offrono esperienze di assaggio.

Mentre camminiamo arriva l’invito a entrare in una casa a bere il loro vino – è mattina! – ed eccoci nella casa di Galina, Nodari e Tamaz: Galina porta in tavola pane, verdure, salsicce, una squisita marmellata di fichi, il marito lancia un brindisi all’amicizia italo-georgiana, il figlio commenta l’incontro con elevati discorsi sulla fratellanza tra i popoli.

Scopriamo che accolsero qui anni fa l’amico Daniele Ventola in cammino anch’egli verso la Cina (e ci ha scritto un bellissimo libro, ‘Il vento della seta’): quanto può essere piccolo il mondo!

Galina e famiglia, saluti di rito con foto e pressanti inviti a tornare.

I villaggi restano indecifrabili, case sparse senza un centro percepibile (e senza posti dove mangiare…) ma il capoluogo, Telavi, ci si rivela come una bella città elegante, con una sua storia importante raccontata dal grande castello nel centro, con palazzi ben ristrutturati (e un ottimo ristorante dove mangiamo kinkali!).

 

Alla periferia della città i gemelli Leven e Sandro, una gran barba, orecchini, sguardo vispo, hanno sistemato la casa del nonno facendone una guesthouse – dove ci fermiamo – dal gusto di un loft metropolitano di design, mescolando antico, moderno e arte in un mix molto piacevole e contemporaneo: bravi davvero, meritano ogni successo! I giorni che mancano per arrivare alla frontiera sono davvero pochi, la gente con cui parliamo comincia a trovare plausibile la nostra meta. Ci saremmo già arrivate, in verità, se non avessimo fatto un giro un po’ tortuoso dettato da imprevisti cambiamenti di programma. ‘Soprattutto, fa che la strada sia lunga …’ , come raccomanda Kavafis a Ulisse nella poesia ‘Itaca’ (cito a memoria).

 

Giorno 45 – Lagodeki

Cioè l’ultima cittadina prima del confine tra Georgia e Azerbaijan: ci siamo arrivate! In verità saremmo dovute arrivarci domani ma come spesso accade la strada ha deciso altrimenti e le cose insomma sono andate così. Lasciamo l’azienda vinicola di Elizbar dove abbiamo dormito (potevamo lasciare la Georgia senza ficcare il naso in una delle sue cantine?) per avviarci verso la frontiera: sono più di 50 chilometri, dovremo trovare di che dormire a metà strada. E non sarà facile, ci avverte Elizbar, perché cammineremo a lungo nel nulla, solo qualche rara casa in un paio di punti. Vedremo, partiamo con fiducia e i primi chilometri filano via su piste fangose tra vigneti e case di campagna. Finché sbuchiamo sulla strada dove da un forno due ragazzi ci chiamano e ci regalano un pane caldissimo. C’è giusto un chiosco vicino dove prendiamo un ‘cappuccino’ – diciamo così – e ci concediamo una pausa spuntino: dopo una quindicina di chilometri ci sta! Inizia a piovere, come ieri e ieri l’altro, da un cielo tutto bigio. Ci diciamo che certo non sarà bello trovarsi fradicie nel pomeriggio a cercare una porta a cui bussare… Ed ecco che arriva David, e in inglese ci chiede se può aiutarci: lavora nella protezione civile, deve essere un riflesso condizionato. Sta andando a Lagodeki, cioè al confine, nostra meta di domani, vogliamo forse un passaggio? Come resistere a questo regalo della strada? Peccato da una parte affrettare così il nostro arrivo, ma d’altra parte che fortuna! Insomma cediamo ed eccoci arrivate in un baleno, e asciutte, a Lagodeki.

Ma non possiamo rinunciare a farci a piedi, zaino in spalla e mantella antipioggia, i quattro chilometri che da qui portano al confine. Ecco le file di camion, ecco i camionisti azeri che parlano una lingua simile al turco, ecco i cartelli che segnalano il confine, ecco le bandiere georgiane – ma quelle azere non riusciamo a vederle prima che il poliziotto di guardia ci fermi. Ecco l’emozione e la gioia di essere arrivate fin qui! Rimane la curiosità di sapere chi sarà mai l’umorista – immagino involontario – che ha fatto scrivere ‘buona fortuna’ sul cartello stradale che segnala l’ingresso in Azerbaijan: roba da incidente diplomatico.

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